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Poesie per Aeroporti e Stazioni

Scritti di Filippo Lubrano (previously "Quanto a lungo riesci a trattenere il fiato")

Mese

settembre 2015

L’isola bianca e nera

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Pingelap è una piccola cruna di terra

Nella Micronesia più remota

Non ha cammelli che vi passino attraverso

Come da tradizione

Ma sabbie lucenti

Acque turchesi

Atolli di coralli cremisi la doppiano

Cappi lussuosi.

Yanto ha calli spessi nelle mani e piedi piccoli

Che mai conobbero il refrigerio di una tomaia.

Abita Pingelap da nove anni

È da allora che gli raccontano esista tutto un mondo

là fuori

Anche oltre l’atollo di Bikini

Dove stanno gli esseri umani più vicini

600 miglia nautiche d’acqua salata più in là.

Se lo interroghi al riguardo, Yanto

Aggrotta la fronte, appare scettico.

Quello che sa, è che il giorno è per dormire

Un’amaca dentro una baracca

Alle finestre fogli colorati

Tinte primarie.

La notte di Pingelap è un arco cromato di stelle

disegnato per le faccende del mondo:

salti col compasso tra rocce levigate

e poi via, a bere il succo dai cocchi

inseguire pesci che i nomi mascherano

per coglierti in fallo:

Farfalla, angelo, foglia, pappagallo.

Yanto ha la pelle color del mango maturo

Capelli scuri, come il tronco dell’albero del pane

e occhi azzurri da far tremare gli squali martello

sul reef

ma lui non lo sa.

Sono 250, su questa cruna di terra

Tutti tengono le palpebre strette, quando luce irradia

Da quel tifone del 1775,

quindic’anni prima che questa baia

fosse poi scoperta

da chi ancora l’ignorava.

Uno dei venti superstiti sull’isola

Portava un guasto alla vista

Un gene malridotto

Difetto minore, cromosoma numero otto.

Ne discese una stirpe di daltonici totali:

gente che

da sempre

vede il mondo in una scala di grigi

come un Grundig del ’65

O alcuni animali

E per il magno gaudio di certi psicologi sodali.

Yanto ricorda ogni suo sogno

E distingue le mante dai marlin più rari

Per la luce lunare rifratta sui mari

“A che mi servono i vostri colori vari”

Scrolla le spalle sereno, zompando da una papaya

Planando sul viale

“Ho forme e contrasti per muovere

La luce è superflua

Distrae dalle ombre

dall’essenziale”.

Un salto ancora, e poi scompare.

Pingelap è una piccola cruna di terra

Nella Micronesia più remota

Non ha cammelli che vi passino attraverso

Ma sabbie bianche

Acque grigie

Atolli di coralli la doppiano

Neri.

Il muro del Santo

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(Santo Stefano Magra (SP), Agosto 2015)

Mattoni sempre diversi

Altezze che oscillano

A seguire stocastiche

Curve di tendenza

ciclostagionalità

Domande effimere di mercati

Cui sappiamo rispondere

Per dimenticarci la prima:

“perché?”.

Il muro del Santo è inciso da writers seriali

Il tag squadrato di Cosco

Un MSC a sfondo blu

Macchiato ruggine

Un Hanjin della prima ora

Ideogrammi cinesi

caratteri pinyin.

I mattoni del muro del Santo

Giustapposti a secco

Tagli precisi, 20 piedi per 8,

sostegni a longheroni

cerniere doppie

dichiarano contenuti mendaci

per forma, modo, quantità.

I mattoni del muro del Santo

Scartano veloci

Movimentati da bracci di nessun corpo

Se non quello di leggi globali

Scaricati su piazzali

Con tonfi lordi

Che rendono sordi

Ai messaggi subliminali.

I mattoni del muro del Santo

Parlano

Urlano acrilici

Carichi, bilichi,

sostanze celate

nel seno del carico-scarico

merci lottizzate

a muovere i gangli del mondo

immoti per merci altre

di carne e tessuti e fibre.

Se accosti l’orecchio ai mattoni del muro

Sentirai

Esalare

esangui

Da dentro

Nel buio di teu mal refrigerati

Ultimi sospiri di creta.

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